Qui bambino rincorsi un’ombra cara.
Uomo qui mi dissolvo oltre il cancello;
lavato via, mani capelli lacrime,
lavato via nel buio. E mai partii.
All’interno del sistema luminoso di segni che comunicano «di campo in campo, di annate in annate» nell’opera di Andrea Zanzotto, nell’«intimo splendore / di “c’era una volta”» (Ligonàs I 1998) del suo paesaggio diventato lingua stratificata di memorie, c’è un “conglomerato” (2009) che potremmo chiamare l’arca memoriale dell’infanzia, dove il vocio corale della “Cal Santa” e i cinque sensi della sua poesia si fondono in un unico tempo che riunisce tutti i passati prossimi e remoti di arte, vita, “parlate”, suoni e immagini. Ascoltando dal prato, il volume uscito in occasione del suo novantesimo compleanno, voleva essere proprio un omaggio a quell’arca in cui “tutto è bambino in tintinno con loro” (Ligonàs I 1998), come in una “traccia scritturale” (Nota a Sovrimpressioni, 2001) che porta a salvamento un paesaggio minacciato dall’oblio.
Oggi, 18 ottobre 2011, il cerchio si è chiuso, la sua foto con il gatto sulle ginocchia ci sorride solo dalle pagine, ma la sua “ombra cara” resterà tra noi uomini che si voltano, anche noi bambini dell’unico tempo della sua poesia, il solo capace di sfuggire alle tenebre della cronologia.
Giovanna Ioli