Milano. ‘Scalo Dieci’. 21 aprile 2004
Ricordo di aver avuto la fortuna di incontrare e ascoltare Tavan una sola volta, a Milano qualche anno fa, a una serata di poesia che gli era stata dedicata dallo ‘Scalo Dieci’ in un seminterrato. C’era tanta gente, venuta proprio per lui, per il poeta di Andreis, accaldato, sudatissimo e emozionato come un bambino, ma come un bambino felice per la presenza di tutto quel pubblico in una città che lo aveva visto sbarcare giovanissimo tra la folla e il frastuono della Stazione centrale dalla sua ‘fiorita periferia’ e vacillare subito dopo, nel momento dell’impatto con il ‘nuovo mondo’. In quella sere di aprile, Tavan parlò tanto di sé, di quei suoi giorni milanesi, e recitò molte poesie, rivelando un talento nativo di attore, potenziato dalla sua ‘diversità’ di fou. Ma quante paure mai sopite s’indovinavano dietro quei suoi atteggiamenti scopertamente non provocatori, in quel suo esibire i propri trascorsi di ragazzo border line degli anni settanta, in quel suo recitare per degli spettatori che forse si erano radunati lì quella sera per ‘divertirsi’ assistendo ad una esibizione diversa dalle solite, del genere ‘genio e sregolatezza’. Ricordo che provai quasi vergogna nel chiedergli una dedica per il libro Cráceles cròceles: mi regalò una firma che riempiva tutta la pagina, uno scarabocchio simile a quello che fanno i bambini quando impugnano con furia gioiosa i pennarelli per dimostrarti che sono diventati ‘grandi’ e possono disegnare e colorare tutto il mondo. Federico Tavan lo ha disegnato e colorato davvero il mondo, in poesie che parlano di voli non volati, di voci perdute, di farfalle, di luce, di stelle alpine (Steles alpines / lagrimes de nins / sacjades dal sorele / e scjampades in alt. [...] Steles alpines /se siere i vuoe / se no pense pì a nua / cuase cuase ‘e crout / che esistei”).
Anna De Simone da “Federico Tavan nostra preziosa eresia”