Far incontrare le persone, metterle sulla stessa traiettoria di vita, far sì che da quel momento nascano delle simpatie umane non è un dono che tutti hanno. Personalmente sono un tenace e fierissimo amico di questi esseri; di uno in particolare, anche lui fotografo, che nonostante abbia superato l’ottantina, rimane un pericoloso agitatore di umanità. Quello che poi accade tra quegli esseri terrestri non sono più fatti che riguardano quei provocatori di incontri, visto che il loro magnifico e altruistico narcisismo è già stato largamento soddisfatto. Innescata la miccia, questi – che mi fanno pensare agli angeli del convento di San Marco a Firenze, proprio quelli del Beato Angelico così leggeri e sfuggenti che non sembrano avere nulla di terreno – con le loro improbabili ali ripartono, sfidando ogni legge delle fisica, pendolari di viaggi assoluti e arrischiati nel tempo e contro il tempo. Come da copione, fu proprio grazie ad uno di questi volatili alati che ci incontrammo per la prima volta io e José Sainz; credo fosse novembre del 2007.
Quella domenica eravamo al Caffè San Marco, Claudio ed io, alle prese con l’ennesima seduta fotografica. Una passeggiata poi al giardino pubblico, quello della sua infanzia, insieme all’inseparabile Jackson, mentre si avvicinava il momento del congedo. Mi aveva già avvisato, Claudio, che un suo impegno per pranzo era già fissato e quindi ad una certa ora avrebbe dovuto lasciarmi. Ma giunto il momento dei saluti, l’angelo incerto che sosta insistentemente in questi esseri terrestri inizia un agitato vorticare, appena nervoso, sbattendo le ali senza una direzione precisa: si impalla su se stesso quasi a precipitare e mi lancia uno sguardo segnato da un deciso cipiglio dicendo fra sé e sé, ma abbastanza forte perchè io possa sentire: «Perchè non vieni anche tu?».
Quando entrammo Al Collio, luogo dell’appuntamento, vecchia trattoria di Trieste che mantiene ancora la sua caratteristica semplicità per atmosfera e calore umano, già ci aspettavano al banco Graziella e José. Gli amici con cui doveva pranzare. Mangiammo allegramente mentre Claudio e José trafficavano tra fogli zeppi di appuntamenti che Magris aveva portato con sé. Cercavano di infilare una data per fissare non so’ quale loro impegno… Svuotammo tre bottiglie di dorato Sauvignon e prima di salutarci all’uscita della trattoria, sostammo abbastanza a lungo con le ultime chiacchiere. L’atmosfera era pregna di allegra, euforica simpatia e, mentre gli ignari continuavano le loro ciarle, io estrassi dalla mia sacca la temibile arma della memoria che porto quasi sempre con me. Vigliaccamente, da autentico paparazzo, non risparmiai Claudio da un attimo di estrema confidenza e particolare abbandono. Quello scatto non vedrà mai la luce, né tanto meno una pagina stampata vista la pesante minaccia – un intero Foro di avvocati – che grava sulla mia testa in caso di pubblicazione.
Insomma il vino – «Un uomo che beve soltanto acqua ha un segreto da nascondere ai propri simili» scriveva Baudelaire – era entrato in circolo alterando leggermente la percezione della realtà ed eccitandone sobriamente il comportamento, liberando però anche il senso di instabilità e fragilità dell’esistenza. Proprio come quei volatili appicicaticci alle pareti del Convento di San Marco che per non precipitare al suolo e cozzare contro la dura realtà, si fanno talmente leggeri da sembrare divini. Per dirla in breve, quello che è accaduto dopo quel primo incontro tra me e José Angel González Sainz – toh’ vedi un altro angelo tra… le ali – non sono altro che le piume in bianco e nero che ore vi ritrovate tra le mani. Piume, perché la libertà dell’Angelo Necessario è già decisa nel suo essere creatura per “l’ora d’amore come la penna caduta dall’ala”.
da Claudio Magris Argonauta fotografie di Danilo De Marco
ed. Forum