Parole

Erri De Luca - Il sale della terra

Erri De Luca

Una fraternità accosta fattezze e figure di gente senza terra, spossessata di suolo. Quando la carne addosso è un panno stretto che riveste lo scheletro di giustezza, quando il vecchio sarto dei corpi lavora in economia e calza facce con la pelle tesa: allora quelle facce raccontano da mute, da ferme. È scomodo raggiungerle, attraversare le periferie del pianeta, ma poi valgono il viaggio del fotografo randagio.
Chi dice che sono senza storia? Sono al contrario e per l’appunto la superficie scritta dalla storia, insieme ai muri delle carceri e alle canzoni d’amore.
Non sta sui libri la nostra vicenda, ma impressa sui corpi, sul rivestimento di un cranio, nelle pieghe di nuche e di fronti. Avete voglia di andar dietro a gazzette e notiziari: là passa solo il rumore della storia, il mangiavite che sbatte il mondo come un tappeto. Lontano dagli usci ferrati, dal mazzo delle chiavi che aprono solo a noi, la storia scrive piano addosso ai poveri, con tecnica di acquaforte, a punta d’incisione e bagno di mordente. Scrive le loro facce. Quelle dei ricchi le lascia in bianco a una salute tiepida, imbottita, le trasforma in visi, che sono facce addomesticate, cartoline da illustrazione, buone per arredarci i rotocalchi. Sulle facce dei poveri scrive le avventure: il gelo, il vento, gli insetti, l’acqua piovana che straripa e inzuppa, la siccità che sfrega polvere sugli zigomi, mentre agli occhi affiora la malinconia dello stomaco, e ancora; il sole quando pesa come un sacco sulla schiena di chi ci sta sotto. E solo un bracciante può dire: niente di lieve sotto il sole.
La storia ama la pergamena cotica dei poveri e la spiana a pagina. Un tempo anche da noi c’erano molte facce così. Ecco la curva del polso di chi sa impugnare roncola, zappa, badile, ascia, piccone, il manico delle leve che bussano alla terra per chiedere. E dopo le facce e i racconti ecco le mani. Qui ci sono dorsi di buccia di castagna e nocche come legno di noci e poi all’interno: chi conosce le loro mani dall’interno? Chi è andato da loro a chiedere di stringere?
Qui ci sono facce politiche. Chi si è inteso col suo simile e si è associato a lui per conforto, coraggio, convinzione, chi ha pensato che due non è il doppio ma il contrario di uno, la smentita di essere soli, la esperienza di formare catena, questa persona ha una faccia politica. Qui lo sono tutte. Hanno la perdita nel conto. Hanno figli in nome dei quali tentare lo stesso uno sbaraglio contro una prepotenza, una scarsità, così che ai nuovi non tocchi la stessa pazienza. Queste facce hanno pazienza e resistenza scalmanata.
Donne, uomini dal chiuso dei recinti premono per spostare il confine del campo. Qui stanno gli ospiti della polvere del suolo, quelli che hanno diritti di scarto, documenti rilasciati da soldati di malavoglia, in lingue diverse dalla loro. Povera la pretesa della fotografia che crede di fissare, che presume da sé il diritto dell’inquadratura.
Qui i corpi non si lasciano chiudere tenere, qui le facce della periferia del mondo portano con loro il centro e se lo tengono. Non lasceranno in pace i pasciuti, mai.