[...Mi dirigo verso il Chapare e mi spingo fino ad un piccolo villaggio chiamato Entre Rios per capire meglio la situazione dei cocaleros. La zona è vistosamente militarizzata e decine di camion carichi di militari penetrano nella selva alla ricerca di piantagioni di coca. Assieme a sei giovani dirigenti campesinos decidiamo di seguire i camion dell'esercito. È pericoloso, dice Javier, perchè non vogliono avere gente tra i piedi e le loro reazioni sono spesso incontrollabili. Per questo prima di entrare nella selva ci fermiamo in una casa sul nostro cammino dove uno dei miei accompagnatori consegna tre grossi razzi alla gente che vi abita. Serviranno a segnalare la nostra posizione in caso di ritardato rientro.
Ci incamminiamo e dopo una buona mezzora spunta in mezzo al verde una casa con il tetto di paglia. Ci abita Basilio, 30 anni più o meno...ci porta subito a vedere il suo campo di coca distrutto dall'esercito. «Sono arrivati tre gioni fa, ci hanno legato tutti come si fa con gli animali, bambini compresi, per tutta una giornata. Hanno estirpato tutte le radici della mia coca. Si sono presi le arancie, le banane».
La superficie del campo di Basilio è minima, sette metri per sette circa, e la vendita di quelle foglie è l'unica entrata economica che ha per la sua famiglia. E così è per la gran parte dei contadini chapareñi. Noi non abbiamo nulla a che fare né con la cocaina e tanto meno con il narcotraffico. Da sempre la gente di qui mastica (pechiar) la foglia di coca. Ora la produzione non basta neppure per il mercato dei masticatori, mi spiega Javier, aggiungendo che è abitudine masticare la foglia di coca 4 o 5 volte al giorno. E puntualmente dopo aver mangiato. Per noi è come per voi bere il caffè. E poi ci dà animo, coraggio durante il duro lavoro nei campi. Ci aiuta quando siamo costretti a dormire nella foresta. Mi domando perchè invece di venire qui a sradicare la nostra coca che esiste da sempre, i nordamericani non si sradicano le loro narici. Sono loro che hanno necessità della cocaina, non noi.
Cerco di capire che cos'è il piano di sviluppo alternativo che è sostenuto dal Governo con l'aiuto di cooperazioni internazionali. Ma quale piano di sviluppo, sbotta Pedro Calderon. A noi portano quattro semi di pomodoro, la banana e il platano e poco altro. Le grandi somme rimangono nelle loro tasche. Manca qualsiasi mercato per i prodotti alternativi...e a che cosa serve produrre se poi non sappiamo a chi vendere. E quando riusciamo a vendere qualcosa...per dieci ananas grosse così ci danno un boliviano (30 centesimi di euro). Un chilo di foglie secche di coca vengono invece pagate 16 boliviani. Lo sviluppo alternativo è un fracasso e l'opinione comune è che se non ci fosse la coca la popolazione sarebbe costretta a emigrare.
È David Choquehunca, ombroso dirigente-ideologo indigenista Ayamara che mi spiega: «Per noi Aymara la foglia di coca è da sempre la madre di tutte le altre piante, è il segno dell'abbondanza; ci trasmette serenità e sicurezza. Con la foglia di coca comunichiamo, ci poniamo le domande, risolviamo i nostri dubbi. È il nostro cosmoessere, che noi Aymara chiamiamo yatiri, e che ci permette di entrare nella pianta stessa. Eliminare la foglia di coca per noi è come eliminare la nostra stessa madre».
La cultura andina è arrivata ad un punto di non ritorno e proprio nella foglia di coca ritrova il suo legame con il passato. A Eterazama, Apollonia Sanchez, dirigente dell'organizzazione di donne Bartolina Sisa, mi accompagna al mercato della foglia di coca. Siamo sempre più poveri, mi dice un commerciante: la produzione è sempre più scarsa e i militari sono dappertutto. Alle volte ci sequestrano i sacchi di foglie, e io mi domando sempre dove vadano a finire quei sacchi. La risposta la lascio a lei...]
Danilo De Marco 2003